avv. Ernesto Maria Cirillo e dott.ssa Lidia Undiemi
Il tema delle conseguenze dell’IA sul destino di milioni di lavoratori italiani è assai complesso e delicato.
Questo articolo vuol rappresentare una sorta di piccola guida introduttiva di facile lettura, che però necessita di ulteriori approfondimenti, non fosse altro che per l’eterogeneità delle figure professionali coinvolte: addetti al customer care, tecnici e impiegati di varia estrazione – come il personale amministrativo e contabile – operai, magazzinieri, trasportatori, tipografi, giornalisti, medici e finanche insegnanti.
Si potrebbero suddividere i lavoratori in due macro aree: quelli che subiranno un vero e proprio effetto di sostituzione “macchina-uomo”; quelli che pur mantenendo il posto di lavoro verranno comunque sottoposti a livelli di controllo e di esigenze di produttività “disumane”.
Qui ci si occuperà della prima macro area, a seguire presto la seconda.
L’analisi di seguito proposta si basa sull’esperienza concreta maturata nel campo delle numerose vertenze di lavoro e dei processi di outsourcing e riorganizzazione aziendale.
I lavoratori che verranno sostituiti dalle macchine nei prossimi 5-10 anni
Per quanto riguarda il fenomeno della sostituzione “macchina-uomo”, bisogna circoscrivere l’arco temporale della possibile manifestazione dell’evento in discussione, perché lo scopo di questo contributo non è quello di fare filosofia del lavoro in un futuro indeterminato ma di sostenere concretamente i lavoratori di oggi in questa “transizione”. Diciamo allora che ci si collocherà intanto in un lasso di tempo di 5-10 anni.
Il problema si pone anzitutto per la fascia di lavoratori dai 50-55 anni in su, quelli cioè che hanno come prospettiva quella di potere arrivare più o meno serenamente alla pensione, che in caso di perdita del posto di lavoro difficilmente potrebbero trovarne uno alle medesime condizioni retributive.
Per loro dunque l’obiettivo è “resistere più che si può”.
Il problema naturalmente è il “come”. Banalmente, come si può evitare la sostituzione di un impiegato con una nuova tecnologia che consente all’impresa di trarre maggior profitto ed efficienza?
Non si può evitare, quindi bisogna ragionare in un’altra prospettiva per mantenere il posto di lavoro.
Anche qui occorre separare altri due scenari: l’impiego in imprese micro o di piccole dimensioni e imprese di medie e di grandi dimensioni. Nel primo caso si può presumere che la trasformazione tecnologica avverrà ma più lentamente, sia per l’onerosità dell’investimento che per la tipologia di attività in sé. Si pensi a una officina meccanica: posto che ancora non esiste un robot capace di sostituire un operaio per la riparazione delle auto, in ogni caso il costo eccessivo supererebbe il vantaggio della sostituzione.
Altro ragionamento invece per i lavoratori delle realtà di più grandi dimensioni, per cui le aziende possiedono una maggiore forza finanziaria per potere investire in nuove tecnologie e possono anche ragionare in termini di economie di scala. Specie nei casi di lavoro impiegatizio il vantaggio della sostituzione potrebbe essere enorme: tanto maggiore è il numero di lavoratori sostituibili tanto maggiore è il guadagno. Attenzione, chi lavora in aziende di questo tipo queste cose le sa già, poiché la “transizione” è oramai in corso da almeno 20 anni, per cui gli sviluppi dell’IA altro non sono che una ulteriore evoluzione delle trasformazioni in atto.
Le macchine virtuali che stanno sostituendo gli impiegati si chiamano “software applicativi” cui si sono aggiunti nel tempo i cosiddetti “robot virtuali” che concettualmente si avvicinano all’idea dell’IA, anche se per adesso non hanno avuto lo sviluppo desiderato.
I software applicativi rappresentano il principale mezzo tecnologico di cui le imprese fanno da tempo largo uso per processare, automatizzare e standardizzare il lavoro prima svolto in larga parte dal lavoratore, secondo schemi aziendali precostituiti.
Gli esempi sono tanti.
Emblematica poiché la prima ad avere avuto questo tipo di evoluzione è l’attività di customer care, ovvero i call o contact center, svolta da operatori che hanno visto sempre più vincolato e sostituito il proprio lavoro umano dall’uso della macchina. In tal senso, si pensi al fatto che mentre prima erano gli operatori a chiamare i potenziali clienti adesso è il programma stesso ad avviare in automatico le chiamate “in uscita”.
Nel tempo, questa transizione tecnologica ha invaso altri settori, come quello bancario, l’intero comparto delle telecomunicazioni, quello energetico, quello della logistica, quello della pubblica amministrazione e più in generale attività settorialmente trasversali che per la loro natura impiegatizia si prestano a un tale processo.
Non solo impiegati però, anche i lavoratori con più alti livelli di qualifica stanno subendo lo stesso destino, come gli ingegneri assunti nelle grandi aziende che stanno assistendo a una graduale trasposizione delle competenze e del know how tecnico nei sistemi informatici, al punto tale che la loro attività è sempre più spesso assimilabile a quella del semplice data entry.
Non è un caso che crescono esponenzialmente le cause contro il demansionamento.
In una situazione del genere, l’unica possibilità di tutelare il proprio lavoro il più a lungo possibile è prendere coscienza delle possibilità di difesa dal punto di vista giuridico.
Sotto questo profilo, va detto intanto che nell’attuale fase di transizione tecnologica il problema non è tanto la sostituzione dei lavoratori con le macchine quanto – data una determinata tecnologia – la sostituzione con lavoratori in outsourcing che costano meno, essendosi comunque le competenze appiattitesi verso il basso. Insomma, perché pagare un professionista per fare una banale attività di data entry o back office quando il mercato abbonda di neolaureati pagati molto meno che possono farlo senza una esperienza pregressa?
Ecco perché soprattutto nell’ultimo decennio sono state avviate da migliaia di lavoratori cause collettive contro cessioni di ramo e appalti (outsourcing).
Questa fase è ancora in pieno sviluppo, e le vertenze hanno sino a ora tutelato moltissimi lavoratori.
La fase ulteriore della transizione tecnologica che ruota attorno al concetto di IA potrebbe determinare effettivamente la sostituzione in toto di determinati lavori con le applicazioni informatiche, quindi l’eliminazione di masse di posti di lavoro.
Queste cose però in genere i mercati non le rendono subito visibili, come non hanno subito chiarito che la precarizzazione e il depotenziamento dei contratti collettivi per diminuire le retribuzioni sarebbero avvenuti già con questa prima fase di transizione, celata dietro il ricorso massivo all’outsourcing.
L’esperienza ci suggerisce che lo scenario più probabile sarà la spinta alle riorganizzazioni aziendali su larga scala per canalizzare i dipendenti in società controllare che lavorano in appalto, così da potere meglio gestire crisi occupazionali che magari restando nella grande azienda verrebbero evitate o ridimensionate, consentendo il tal modo a più lavoratori possibili di arrivare al traguardo della pensione.
Ecco che gli strumenti giuridici a difesa del lavoro in queste specifiche circostanze giocano un ruolo fondamentale, così come giocare d’anticipo.
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